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Data Pubblicazione : 23.07.2025

Intervista a Donato Campagnoli

 

Donato Campagnoli, laurea come interprete di conferenze e master in economia, appassionato di tennis al punto di diventare un super esperto nel suo settore, attraverso un percorso di esperienze e successi a livello nazionale e internazionale.

Donato, sei un professionista molto impegnato per cui ti ringraziamo per avere trovato il tempo per questa intervista che certamente arricchirà il bagaglio tecnico dei giovani tennisti che ci seguono.

Grazie a voi per l’invito. Grazie anche al mio amico Marco Mencaglia con il quale condividiamo molto di più che un semplice amore per questo sport. Le vostre parole non le do affatto per scontate, anzi: le accolgo con gratitudine. Trovare tempo per questi scambi è un piacere quando si tratta di parlare di tennis e di contribuire, anche solo in parte, al percorso dei giovani.

Tra i tuoi innumerevoli impegni sei anche consulente dell’Istituto Superiore di Formazione “Remo Lombardi” della FITP…

Sì, la mia collaborazione con l’Istituto si articola principalmente su due fronti. Da un lato, sono docente per l’area tecnica e di video analisi nei corsi di formazione di terzo e quarto livello. Dall’altro, mi occupo di interventi in conferenze sia in Europa che nel resto del mondo, spesso come relatore.  Collaboro inoltre con il settore tecnico federale per attività che arrivano fino alla categoria Under 16. Altro ruolo importante e che mi riempie d’orgoglio: faccio parte del comitato organizzatore del Simposio Internazionale FITP

Spesso ti capita di girare il mondo in qualità di esperto della Federazione, ultimamente sei stato in Germania…

In effetti, negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di partecipare a diversi eventi internazionali, sia per conto della FITP che come privato. A Gennaio 2025 sono stato in Germania, al convegno biennale della federazione tedesca DTB. Poi in Florida, per la conferenza internazionale del PTR sugli sport di racchetta a Saddlebrook, vicino Tampa. E a Giugno a Londra, proprio durante Wimbledon. Sono occasioni preziose: si respira tennis, si condividono visioni sul presente e sul futuro del nostro sport, e si ritrovano amici e colleghi da tutto il mondo. Ti senti parte di una comunità globale che sta contribuendo a scrivere la prossima pagina della storia del tennis. Come privato, la fine dell’anno 2024 è stata frenetica: una settimana in Cina, la Polonia per il congresso annuale della federazione polacca…

Presenzi costantemente ai raduni federali…

Sì, partecipo regolarmente ai raduni nazionali per le categorie U11–U16, che si tengono a Tirrenia, Bordighera e Formia. In queste occasioni vengono convocati alcuni dei migliori giovani talenti d’Italia, e il mio ruolo è duplice: da un lato osservo e filmo quando giocano soprattutto i match nel programma del raduno, dall’altro costruisco contenuti specifici sulla tecnica degli spostamenti con un approccio olistico, multilaterale. Il mio obiettivo è creare una relazione con i tecnici dei ragazzi, fornendo loro strumenti utili per allenarli meglio. È una responsabilità importante, perché si lavora con prospetti che potrebbero rappresentare il futuro del tennis italiano.

Ormai fai parte integrante del Sistema Italia

È davvero bello far parte di un progetto che oggi è riconosciuto a livello mondiale per la sua efficacia e coerenza. Ricordo ancora la presentazione del Sistema Italia alla conferenza ITF di Port Ghalib, in Egitto, nel novembre 2011. Fu Michelangelo Dell’Edera, direttore dell’Istituto “Roberto Lombardi”, a raccontarne per la prima volta la visione. Allora sembrava un’idea coraggiosa, quasi utopica, controcorrente. Nel 2013 Michelangelo mi ha chiesto di farne parte. Eravamo dei pionieri, senza alcuna garanzia, ma con la volontà ferma di dare il meglio di noi stessi. Non c’era una strada già tracciata: quella strada l’abbiamo costruita passo dopo passo, imparando camminando. Oggi sarebbe troppo facile dire che era tutto previsto. In realtà, è stato un libro scritto con il cuore e con la testa. È forse questa la forza che ha reso la FITP uno dei modelli più forti al mondo. Oggi, ogni mese, vengo contattato da federazioni straniere per raccontare questa storia: come è nato il Sistema Italia, quali problemi voleva affrontare, e come siamo riusciti a riscrivere la nostra narrativa tennistica.

Comunque sei un libero professionista

Sì, e lo sono con convinzione. Lavoro con circoli, giocatori e insegnanti, aiutandoli a costruire percorsi su misura, in base alle loro caratteristiche e ai loro obiettivi. Il mio sito www.hellstennis.com è una buona finestra sul mio approccio e sui progetti che porto avanti. Con i circoli, sviluppo piani di crescita a medio-lungo termine: dalla formazione del personale alla creazione di nuovi programmi didattici, fino alla progettazione di nuove linee di ricavo. Con i giocatori, li affianco nella gestione globale del loro percorso: tecnico, tattico, fisico, mentale e organizzativo. Con gli insegnanti, costruisco materiali ad hoc per rafforzare la loro formazione, sia sul campo sia in aula. In sintesi, mi occupo di ideazione e implementazione di progetti che mettono sempre al centro la persona e il contesto.

Sei anche docente di tecnica degli spostamenti, ci spieghi in parole povere in cosa consiste?

Negli anni, insieme all’Istituto, abbiamo creato un sistema di competenze specifiche per la tecnica degli spostamenti, declinato per le varie fasi del percorso formativo: AVVIAMENTO, PRE-PERFEZIONAMENTO, PERFEZIONAMENTO e SPECIALIZZAZIONE. L’idea di fondo è semplice ma rivoluzionaria: vogliamo che le scuole tennis insegnino ai bambini e ai ragazzi a muoversi bene fin da subito. La parte bassa del corpo — piedi, gambe, bacino — è ciò che garantisce equilibrio, e l’equilibrio è ciò che permette di esprimere al meglio la tecnica e prendere buone decisioni tattiche. In fondo, un colpo efficace nasce sempre da un movimento efficace.

Come sei arrivato a specializzarti in questa disciplina? Possiamo chiamarla così?

Assolutamente sì, possiamo definirla una disciplina a tutti gli effetti. E ti dirò, la mia storia in questo campo meriterebbe un’intervista tutta sua… è un viaggio lungo, che nasce tanti anni fa e da una visione.

Ormai siamo nel campo delle super specializzazioni e tu fai parte del Gotha di questi tecnici d’elite…

A me piace pensare che ogni realtà — che si tratti di un circolo, di un atleta o di un insegnante — debba prima di tutto essere ascoltata, compresa nelle sue radici, nel suo contesto attuale. Solo dopo aver studiato a fondo il passato e il presente, ha davvero senso progettare un futuro sportivo che possa poggiare su basi solide.
Non si tratta solo di applicare una competenza tecnica, ma di costruire un sistema, quasi un’impresa, dove nulla può essere lasciato al caso. Ogni dettaglio, ogni relazione, ogni fase del percorso va pensata con cura. La specializzazione per me non è un’etichetta, ma una responsabilità: quella di saper leggere, interpretare e trasformare ogni situazione in un’opportunità di crescita reale.
Ma c’è una cosa che non dimentico mai: il team fa sempre la differenza. Posso anche costruire un percorso, immaginarne ogni snodo, ma saranno le persone che lo implementeranno — allenatori/maestri/insegnanti, dirigenti, collaboratori — a determinarne davvero il successo. Per questo, oltre al progetto, investo sempre nella relazione con chi dovrà renderlo vivo.

Sembra quasi che in questo settore ci sia stato come uno “strappo in avanti” rispetto agli altri settori che concorrono alla formazione di un atleta

Per far crescere un bambino, servono tante variabili in armonia. E se un ragazzo sogna il professionismo, non ci si può permettere di trascurare nulla. Ogni competenza va acquisita con metodo, coerenza e attenzione. Io non credo nei compartimenti stagni: credo nella convergenza di “saperi”. La tecnica degli spostamenti è certamente una chiave — importante, sì — ma non è l’unica. È lo sguardo d’insieme che fa davvero la differenza. La mia consulenza con la FITP mi ha fatto crescere molto. Mi ha aiutato a dare ordine e senso a tutte le esperienze che avevo accumulato nel tempo. Ho imparato da grandi allenatori, ho gestito centri sportivi, ho diretto un’accademia. Ho avuto il privilegio di allenare giocatori professionisti e di accompagnare tanti ragazzi in percorsi che non sempre avevano come obiettivo il risultato, ma piuttosto la crescita personale attraverso lo sport. Mi reputo fortunato perché ho avuto la possibilità di confrontarmi con professionisti di livello internazionale, di mettermi in gioco, di sbagliare, e di rielaborare tutto questo in un approccio che oggi è diventato il mio modo di stare nel tennis. Preferisco infatti più ascoltare che parlare.

Tra i maestri e i coach si è raggiunta la maturità di capire appieno l’importanza e soprattutto l’utilità della tecnica degli spostamenti?

Si è fatto molto, ma c’è ancora strada da fare. La cosa positiva è che cresce la consapevolezza. Io per primo sento che c’è sempre margine per migliorare. Il dialogo con gli allenatori è fondamentale: ogni volta che riesco a creare un ponte tra osservazione e applicazione concreta, sento che qualcosa si muove nella direzione giusta.

E Il tennis? Come sei arrivato al tennis?

Era la fine degli anni ’70, il tennis italiano viveva il boom di Panatta e della mitica squadra che vinse la Coppa Davis. I miei genitori non erano tennisti, ma lo seguivano con passione. Io, da bambino sovrappeso, passavo interi pomeriggi davanti alla televisione. Per me il tennis è stato molto più di una moda passeggera: è diventato uno spazio dove potevo ritrovarmi. Ho iniziato a insegnare durante gli anni universitari. E lì, cambiando prospettiva, ho capito quanto il tennis potesse diventare uno strumento per conoscere me stesso e il mondo. È diventato qualcosa di profondamente trasformativo.

A questo punto raccontaci qualche cosa di te per capire il Donato Campagnoli uomo, oltre il professionista…

Sono sposato con Giulia, che è avvocato civilista. Abbiamo due figli: Gustavo, che ha 21 anni, e Giulio, che ne ha quasi 19. Amo viaggiare e mi piace incontrare persone che provengono da culture diverse dalla mia. Ho comunque un legame profondo con la mia terra. Cerco di vivere con le radici ben piantate e lo sguardo aperto sul mondo. Ti confesso una cosa forse un po’ ridicola, perché so che i problemi nella vita sono altri… ma ancora oggi, quando guardo una partita di tennis e assisto a un’impresa sportiva vera, mi commuovo. Perché so tutto il lavoro silenzioso che c’è dietro una vittoria. So cosa significa cadere, rialzarsi, provarci ancora. Per questo, quando vedo quei momenti, li vivo come se fossi lì. Come se, in fondo, un pezzettino di quella storia passasse anche da me.

Donato e il tuo sogno nel cassetto?

Sono il CEO e fondatore di Mas-Tech Srl, una società tech che ha sviluppato un sistema chiamato ZLAM. In pratica, partendo da un semplice video di una partita di tennis — girato anche con una sola telecamera — siamo in grado di elaborarlo attraverso visione artificiale, machine learning e AI per estrarre automaticamente dati preziosi. Il nostro obiettivo è rivoluzionare il modo in cui giocatori, allenatori, appassionati e media vivono, analizzano e comprendono il tennis. È un progetto ambizioso, che mi appassiona ogni giorno perché mi dà la sensazione concreta di poter contribuire al futuro del mio sport. Ho anche brevettato un sistema di validazione dei comportamenti di gioco. Il sogno? Lasciare un’eredità significativa. Fare qualcosa che resti: una tecnologia che aiuti gli umani a vedere ciò che non si vede del nostro bellissimo sport.