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Riccardo Bonadio, un tennista, un coach, un uomo

Data Pubblicazione : 30.06.2025

Intervista a Riccardo Bonadio

 

Riccardo Bonadio , friulano doc di San Vito a Tagliamento, best ranking 164 ATP di singolo e 278 di doppio, probabilmente il più grande tennista friulano dopo Barazzutti, Furlan e Galvani.

Riccardo a che età hai preso la racchetta in mano per la prima volta?

Ho iniziato a prendere la racchetta in mano talmente presto che non ricordo quando. La racchetta era quella di mio padre, maestro di tennis. Quando rientrava la sera correvo a prenderla e ci giocavo in casa;

Poi ovviamente hai iniziato a giocare seriamente

Si ma purtroppo mi sono rotto quasi subito il polso destro e questo fatto, insieme ad un’incredibile serie di altri infortuni, ha rallentato molto la mia giovane carriera. I primi tornei regionali e nazionali, tra un infortunio e l’altro, li ho giocati sotto lo sguardo attento di mio padre, maestro a Fiume Veneto. Sono stati anni in cui non ho mai pensavo al tennis come a un lavoro.

Agli inizi che tipo di giocatore eri?

Devo ammettere che i primi tempi il mio comportamento lasciava piuttosto a desiderare ma in seguito ho capito che dietro a quel ragazzo spesso arrogante e maleducato, si nascondeva tanta insicurezza e tanti sogni da giocatore. Purtroppo, o fortunatamente, non sapevo quanto fosse lunga e difficile la strada per il professionismo, ma sapevo che sotto sotto giocare a tennis mi divertiva. Ricordo ancora ora tutti i tornei in Friuli “Bofrost”, ”saranno famosi”, in cui partecipavo accompagnato dai miei genitori, specialmente mia madre, che sacrificava ogni secondo del proprio tempo libero per permettere al proprio figlio di inseguire un sogno.

Quindi i tuoi genitori ti hanno accompagnato nel tuo sogno di ragazzino

Certo e solo dopo molti anni mi sono reso conto di che sacrifici hanno fatto per me, cosa per la quale gli sarò sempre grato . Era un ragazzo pigro, molto nervoso in campo, ma comunque qualche soddisfazione me la sono tolta, come la vittoria ai regionali, purtroppo appena mi affacciavo al panorama nazionale non riuscivo a competere. Ciononostante, i miei genitori continuavano a sostenermi senza darmi alcuna pressione, anzi dicendo sempre che avrei potuto smettere di giocare in qualsiasi momento.

Poi la svolta

Si a 16 anni le cose iniziarono a cambiare e decisi di provare a giocare seriamente. Ero 3.2, le possibilità di giocare tornei importanti erano prossime allo zero ma la mia voglia di provarci era grande e così mi “trasferii” a Cordenons, al seguito di Navarra, nel circolo di Edy Raffin.

Immagino l’impatto con gli allenamenti da professionista

Decisamente. Iniziarono gli allenamenti più duri e al contempo le prime soddisfazioni internazionali. I primi Tennis Europe e poi gli ITF. Il tennis iniziò ad assumere un ruolo fondamentale nella mia vita. Mi allenavo moltissime ore, lo volevo, ero focalizzato solo sul tennis. Probabilmente troppo, anzi sicuramente troppo, e ciò mi procurò non pochi problemi. Sentivo di essere in ritardo rispetto ai miei coetanei e la voglia di raggiungerli ed emergere si trasformò in tensione, che non sappi gestire. Non ero focalizzato sulla crescita ma sul risultato e ciò mi penalizzò nei primi anni della mia carriera, impedendomi di godermela al 100%. Al contempo la paura di non essere pronto mi spronava a lavorare più duramente degli altri. Successivamente mi trasferii a Milano, al circolo Bonacossa dopo un breve passaggio a Esten. Le spese triplicarono, la tensione pure, fortunatamente continuavo a crescere, nonostante il peso che sentivo sulle mie spalle.

A Milano come andò

Arrivai al Tennis Bonacossa di Milano con qualche punto ATP (Il primo l’ho preso ai 19 anni), ma a vent’anni ero ancora 1.200 ATP, ben lontano da ogni idea di professionismo. Però sono stati anni importanti, iniziai a lavorare con molta cura sul mio fisico e in due anni arrivai alla posizione numero 500, vincendo il primo torneo Future in Romania. Era il 2015. Da quel momento ebbi molte soddisfazioni a livello Future, ma non riuscivo a passare al gradino superiore dei Challenger e delle “quali” slam. Viaggiavo parecchio, stavo molto attento alle spese, ma ogni anno che continuavo a giocare era un altro anno di sacrifici per i miei. E lo zaino in spalla si faceva sempre più pesante.

Insomma difficoltà su difficoltà

Infatti anche se nel 2018 qualcosa sembrò cambiare quando, sempre al Bonacossa, mi affidai a Uros Vico. Nell’arco di 4 mesi vinsi 4 tornei, raggiunsi 3 finali e 2 semifinali Future. Ciò mi permise di arrivare nei primi 10 del ranking ITF. Quell’anno, infatti, comparve il Transition Tour, per un cambio di regolamento da parte dell’ATP. E ciò mi assicurò 8 mesi di Tornei Challenger. Iniziai subito con i Challenger, sentivo di avere un’occasione. A Gennaio giocai tutta la stagione sul cemento, partendo dal Vietnam per poi trasferirmi in Europa, dove continuai la stagione sulla terra. Giocai 21 settimane di Tornei su 22. Fu un anno molto duro, non solo per il numero di partite giocate, ma anche e soprattutto per le occasioni che non riuscii a sfruttare. Persi 5 partite col match point a disposizione, tra cui una contro un Top 100, che sarebbe stato il mio primo vero successo, e altrettante in condizioni di punteggio che mi vedevano vicino alla vittoria. Ma nessuno sport come il tennis ti insegna che vicino non è sufficiente. A questo punto l’ATP cambiò nuovamente le regole e mi ritrovai sbalzato indietro nei ranking. Nonostante ciò sentivo che il mio livello era cresciuto, nonostante facessi fatica a immaginare di poter stare stabilmente nel circuito Challenger. Non credevo molto in me e questa insicurezza emergeva chiaramente in partita. Fortunatamente in questo particolare momento feci la scelta giusta. Uros, il mio coach, iniziò a seguire Cecchinato, allora top 30 ATP e io mi trasferii a Pavia. A Pavia le cose cambiarono in meglio, iniziai a sentirmi nuovamente a casa. Mi sentivo legato ai ragazzi del club e al nuovo ambiente. Era un bel gruppo, avevo un’ottima sintonia con il coach e lui mi fece capire che avevo ampi margini per migliorare.

Finalmente avevi trovato la tua dimensione

Si ma purtroppo fu l’anno del Covid e rimanemmo oltre 6 mesi senza poter partecipare al tour. Pensai allora di sfruttare quel tempo per farmi trovare pronto al rientro. Diventai vegano, lavorai fisicamente in mansarda tutti i giorni per molte ore al giorno, fino a quando non finì la quarantena. Lessi molti libri e appena finì l’emergenza Covid, colsi l’occasione e arrivai in fondo al torneo di Trieste, perdendo da Alcaraz. Fu il miglior periodo della mia carriera, tutto sembrava funzionare e dopo ogni sacrificio mi sentivo vicino agli Slam. Ma congelarono il ranking ATP, ovvero bloccarono i punti delle stagioni precedenti. E questo complicò le cose poiché le mie stagioni precedenti erano molto lontane da quelle degli altri giocatori Challenger. In pratica dovevo fare in una sola stagione il doppio dei punti degli altri giocatori e la mia scarsa capacità di gestire la tensione venne fuori nuovamente bloccandomi per quasi tutta la stagione successiva. Raggiunsi sette volte i quarti di finale, ma non andai mai oltre. A 28 anni, 300 ATP, sentivo che tutto stava per finire. Ed era dicembre 2021. Stavo per gettare la spugna. Ma Livraghi e Uros mi convinsero a provarci nuovamente. Furono mesi duri. Solo ora capisco quanto fosse sbagliato investire tutto nel tennis. Questa tensione nervosa minò la mia tranquillità, ciononostante riuscirono a convincermi e a inizio 2022 ripartii dai future. Ottenni buoni risultati e mi ritrovai molto vicino alle qualificazioni del Roland Garros, ma più mi avvicinavo e più sentivo che non dovevo perdere l’occasione. E nonostante anche questa volta non avessi gestito perfettamente la tensione, riuscii ad entrare nelle qualificazioni del Roland Garros. Ricordo che ero in giro per Parigi quando mi chiamò Uros dicendomi che l’ ATP gli aveva appena comunicato che ero entrato, a seguito del ritiro di Berrettini, nel tabellone di qualificazioni. Ci ero riuscito, a quasi 29 anni. Persi subito quella partita in 3 set contro Kubler, ma fu speciale per me perché significò il coronamento di un sogno dopo tanti anni di sacrifici. Fu il primo degli 8 slam che giocai in quali. Poche settimane dopo, con lo zaino più leggero sulle spalle, arrivai in finale a Bratislava. Decidemmo di fare a questo punto la pre-season ad Alicante, dove si allenava appunto Sinner. Furono due settimane splendide, in cui mi sentivo pronto a dare tutto per il nuovo anno.

E siamo arrivati al 2023

Si, iniziai benissimo il 2023, vincendo anche la prima partita nel main draw ATP di Santiago e raggiungendo più volte la semifinale nei Challenger. Sentivo che però le cose in me stavano cambiando. A 30 anni forse il tennis non era più la priorità, o meglio, iniziava a non esserlo. A giugno infatti disse a Livraghi che a me sarebbe bastato rimanere dove ero. E lui rispose: “se smetti di lavorare per migliorare, ti garantisco che non rimarrai dove sei”. E così fu. La seconda parte del 2023 fu un autentico disastro e col passare delle settimane la voglia tornare a casa, dalla mia fidanzata, dalla mia famiglia prese il sopravvento.

A questo punto cosa è successo

A fine anno Livraghi decise di mollare, giustamente. Non avevo più obbiettivi da seguire e poche settimane dopo gettai anch’io la spugna. Il 2024 fu un anno transitorio, da giocatore alla carriera di coach, che per diversi motivi, anche economici, non lo nascondo, decisi di intraprendere e devo dire che mi servì molto. Vissi per la prima volta il circuito senza quello zaino pesante in spalla e nonostante non avessi più motivazioni vinsi buone partite, anche contro Fognini. Decisi che l’ultimo torneo doveva essere a Cordenons, casa mia, dove tutto era iniziato, davanti ai miei genitori e a mia sorella. Fu una settimana speciale, sapere che è l’ultima ti regala emozioni uniche, ancora più uniche perchè giochi nei tuoi campi, a casa tua. Persi ai quarti di finale col sorriso in faccia, specialmente dopo la premiazione di Serena, figlia di Edy, organizzata a sorpresa. In pochi minuti ripercorsi tutti quei 25 anni passati in campo, tutte le ore con la racchetta in mano, i tornei e i viaggi, le persone che mi hanno accompagnato, i sacrifici miei e della mia famiglia, ma al contempo il mio futuro a San Benedetto da coach con Lucrezia. Capii allora che iniziava “il secondo tempo della vita mia”. Appoggiai allora lo zaino quasi vuoto sulla panchina e uscii, portando con me ricordi ed esperienze che auguro a chiunque.

Nel tuo caso il tennis è stato quasi una scuola di vita

Il tennis mi ha insegnato tanto. Lo spirito di sacrificio, la capacità di non mollare e di guardare e andare avanti; mi ha permesso di crescere come persona, oltre che come giocatore, mi ha insegnato quanto sia importante a tutti i livelli l’aspetto mentale. Mi ha fatto capire l’importanza di affidarsi a qualcuno, nonostante sia uno sport individuale, mi ha insegnato ad apprezzare la quotidianità, a godermi i momenti belli e ad affrontare quelli difficili, senza scappare dalle difficoltà, ad essere felice senza accontentarmi, in pratica ad essere in equilibrio con me stesso e con gli altri. Ma soprattutto ad accettare gli errori e sono convinto che anche da coach il tennis avrà molto da insegnarmi.

Riccardo, che dire, ci hai raccontato la tua storia piena di umanità, senza remore e senza nasconderti, la storia di un ragazzo con tanti sogni, come quelli che ci seguono, che ha grandi qualità e tante insicurezze che comunque non ti hanno impedito di uscire vincitore dal tuo percorso di vita. Ti dirò, io mia figlia a un coach come te la affiderei.